Carissimo Papino,
ormai sei tornato a Roma e anche se è bello saperti di nuovo “a casa” è stato altrettanto bello seguirti durante questo viaggio pastorale in Polonia, che non è stato, come hai detto tu, soltanto un viaggio sentimentale, ma ha rappresentato un itinerario della Fede e della memoria. Memoria del tuo predecessore per rinnovare il legame di amicizia che vi ha unito per tanti anni, memoria, ieri pomeriggio, dell’inferno terreno dei lager nazisti ad Auschwitz e Birkenau, dove, come hai detto ancora tu, prendere la parola è praticamente impossibile e sempre inadeguato e insufficiente.
Come dicevo a un’amica in pvt, quando l’anno scorso sei andato a Colonia, mi sono scoperta gelosa dei tuoi connazionali perché temevo che ritornando per qualche giorno nella tua patria, parlando con loro nella tua lingua madre, poi non avresti più avuto nostalgia dell’Italia e non avresti avvertito il desiderio di ritornare a Roma. All’inizio di questo viaggio, invece, pensavo che una cosa simile non sarebbe potuta succedere, anche perché l’accoglienza del popolo polacco durante le prime ore mi era sembrata un po’ tiepida. Una parte della stampa aveva adombrato l’ipotesi che nel popolo polacco serpeggiasse una certa insoddisfazione per il fatto che, a oltre un anno dalla morte, Giovanni Paolo II non è stato beatificato, ma poi mi sono resa conto che questi asseriti malumori erano probabilmente solo l’ennesima montatura di alcuni giornali o, perlomeno, se questi malumori ci sono, sicuramente non circolano nelle vene dei fedeli più semplici che invece hanno dato, specie nella Messa di ieri mattina, una grande lezione di cattolicesimo a tutti noi.
Loro che sicuramente più di tutti gli altri avrebbero motivo per continuare a vivere nel ricordo del Pontefice loro connazionale, hanno dimostrato di saper “andare avanti” con fede adulta e matura molto più di quanto non sembriamo capaci in Italia. Sarà che noi viviamo ormai appesi ai simboli e agli idoli, siamo condizionati dalle icone e Papa Wojtyla è stato, appunto, trasformato dalla nostra società in un’icona, fatto sta che proprio i polacchi hanno dato prova di saper amare il Papa e non un Papa in particolare. Vero è che come sempre tu hai saputo pronunciare parole straordinariamente toccanti, “devastanti”, oserei dire (in senso positivo naturalmente), ma è anche vero che la folla ha risposto con uno slancio, un’adesione che mi è parsa senza riserve. E poi mi ha colpito il loro modo di vivere l’Eucaristia; si sono tutti presentati inginocchiandosi prima di ricevere la comunione (noi non lo facciamo più, forse perché il diabolico senso di autosufficienza che ci pervade ce lo fa percepire come un gesto che mortificherebbe la nostra dignità), quasi nessuno che prendeva l’ostia in mano, nemmeno fra i giovani (nella mia parrocchia credo ci essere l’unica sotto i 40 che segue ancora il rito tradizionale) e poi la dedica dello stesso canto che intonavano per Giovanni Paolo II, come dire, per noi non è cambiato niente, siamo sempre gli stessi, pronti a seguire te come seguivamo il tuo predecessore, come seguiremo sempre il pontefice chiunque egli sia, perché questa non è la sequela di un uomo ma la sequela di Cristo.
E poi ieri pomeriggio il pellegrinaggio ad Auschwitz e Birkenau, volevo scrivere qualcosa ieri sera, ma dovevo ancora riprendermi dall’emozione di vederti sostare il preghiera di fronte a ogni lapide mentre Dio disegnava l’arcobaleno lungo l’orizzonte. Tu che sei sempre rispettoso dei tempi e delle esigenze del protocollo, ieri hai voluto dar spazio a tutto il silenzio, il raccoglimento e la preghiera necessari e che pure, anche a te, devono non essere sembrati mai sufficienti. Hai parlato e anche tu non hai potuto trovare una ragione degli orrori che sono stati commessi in quei luoghi. E mentre finisco di scrivere queste righe leggo delle immancabili polemiche che alcuni passaggi del tuo discorso hanno suscitato e non posso che rammaricarmi nel vedere che il tuo invito alla riconciliazione sia stato scambiato per assoluzione dai crimini commessi. Temevo che qualcosa del genere sarebbe avvenuto, immaginavo che il fatto che tu sia un figlio della Germania, e proprio della Germania di quei tempi, avrebbe reso difficile l’interpretazione delle tue parole.
Io non sono né una teologa, né una storica, né una scrittrice, né una giornalista, sono solo una persona che se un giorno potrà trovare un angolino nel Regno dei Cieli lo dovrà alla conversione operata dalle tue parole, così ti prometto che farò del mio meglio per difenderti ancora e sempre. Per il momento ti dico bentornato a casa Papino, cerca di riposarti un po’ se puoi e poi parlaci ancora dell’amore di Dio e aiutaci, con le tue catechesi, a guarire la Chiesa, con la Chiesa e nella Chiesa; e che il Signore ti benedica ogni giorno come ti ha benedetto ieri sotto l’arcobaleno.
[Modificato da Discipula 29/05/2006 15.31]
[Modificato da Discipula 29/05/2006 15.32]