Nati come side project di Damon Albarn dei Blur (ma questo lo sanno anche i sassi) i Gorillaz, oggi citati regolarmente come esmpio di creatività ed innovazione, quattro anni fa venivano considerati poco più che la stravaganza di una quasi ex rock star arrivata precocemente alla frutta. Questo per dire come la maggioranza dei critici e dei discografici viva tagliata fuori dalla realtà. Non entriamo nel merito di quello che uscì sui giornali ai tempi, ma il loro primo album ha venduto certamente più degli ultimi tre dei Blur messi assieme. La boutade di un quarantenne - desideroso di mettere in scena attraverso una band di anime i propri sogni adolescenziali fatti di metal, techno e hip hop - si è rivelata uno dei fenomeni più interessanti della scena musicale mondiale, e non solo per la confezione dell’immagine e delle canzoni. Addirittura rumors giunti dal Regno Unito riferiscono che Demon Days (trainato dal claustrofobico ed affascinante singolo Feel Good Inc.) sia solo il secondo pannello di un trittico che verrà completato fra due/tre anni. Seduti sul cumulo di macerie di un pianeta futuribile (o questa è la realtà eticamente incenerita che si nasconde dietro reality show, tg pilotati e videogames?) i nostri scatenano un juke box folle ed imprevedibile facendo cozzare con grazie i residui dei generi (hip hop, progressive, electro clash e soul modellati dalla voce sonnolenta del regista e dai suoi ospiti) e delle certezze che tenevano in piedi il (vecchio? nostro?) mondo. Per ottenere un suono ancora più scabro, che esalta le performance ritmiche degli ex Talking Heads Tina Weymouth e Chris Frantz, al produttore Jamie Howlett si affianca per l'occasione Dangermouse. Interminabile la parata delle guest star: De La Soul, Neneh Cherry, Martina Topley-Bird, Shaun Ryder degli Happy Mondays, Dennis Hopper, gli spettri di Ike Turner e Brian Wilson. Il disco? Semplicemente un piccolo, destabilizzante, oscuro capolavoro.
Fonte Buongiorno.com