la rinuncia dei politici
Udienza dal Papa, Berlusconi e Casini rinunciano
Il presidente della Camera: evitare strumentalizzazioni. Prodi: il Pontefice può ricevere chi vuole
ROMA - È alla fine di un’altra giornata di polemiche che Silvio Berlusconi si concede il colpo di scena: «Non sono un parlamentare europeo, quindi non andrò all’udienza del Papa». Passa poco più di mezz’ora - mezz’ora fitta di telefonate - e Pier Ferdinando Casini si mette in scia: «Non vado per tenere la Chiesa al riparo dalle strumentalizzazioni». Resta l’eco degli attacchi del centrosinistra che aveva parlato di spot elettorale a proposito della visita in Vaticano fissata da Berlusconi e Casini (ma anche da Mastella che deve ancora decidere cosa fare) in occasione del congresso del Partito popolare europeo, pochi giorni prima del voto. Accuse che Romano Prodi aveva provato a smorzare dicendo che il Papa può ricevere chi vuole.
BERLUSCONI - Berlusconi para il colpo e risponde entrando negli studi di Telelombardia. La parata: «Il gruppo del Ppe che viene a fare il suo congresso a Roma ha chiesto fin da settembre di essere ricevuto dal Papa. Io non ne faccio parte e quindi non andrò». La risposta: «Come al solito l’isterismo di certa sinistra vede in qualunque cosa un pericolo per la propria vittoria. Non andrò ma vinceremo lo stesso le elezioni, tra l’altro ho avuto l’onore di essere ricevuto dal Santo Padre poco tempo fa». Il fatto di non essere europarlamentare, in realtà, c’entra poco con la sua rinuncia. Sarà il Ppe a decidere chi parteciperà alla delegazione ma è prassi che fra gli invitati ci siano sempre i leader del Paese che ospita il congresso. Berlusconi ha rinunciato, quindi, per sottrarre se stesso e il Papa alle critiche di questi giorni.
FINI E D’ALEMA - La notizia viene letta in studio da Bruno Vespa ai suoi ospiti Gianfranco Fini e Massimo D’Alema. Tutti e due, forse colti di sorpresa, si rifugiano nella battuta. «Allora sarà il Papa ad andare da lui», dice il ministro degli Esteri beccandosi il rimbrotto di Giuseppe Fioroni (Margherita): «Ci risparmi le sue facezie». «La notizia non è che Berlusconi non va dal Papa ma che pensa di vincere le elezioni», ironizza D’Alema che però poi riconosce a Berlusconi di aver compiuto un «bel gesto, una volta tanto ha fatto una cosa buona». Lontano dalla studio di Porta a porta , e dalle battute, l’Udc Marco Follini definisce quello di Berlusconi un «gesto di rara sensibilità».
PRODI - Prodi si era chiamato fuori già ad ora di pranzo, quando nulla lasciava pensare che Berlusconi avrebbe fatto marcia indietro: «Non intendo in nessun modo prestarmi a polemiche di nessun tipo circa le udienze che il Papa ritiene, legittimamente, di concedere». E ancora: «Per quel che mi riguarda, io non voglio né strumentalizzare né coinvolgere la Chiesa cattolica e le gerarchie ecclesiastiche nella campagna elettorale». Parole condivise da Francesco Rutelli («mi pare un problema esagerato, non cambierà certo l’esito delle elezioni per una foto con il Papa») e in parte da Piero Fassino che aveva parlato di «tentativo da parte di uomini politici di utilizzare una visita in termini elettorali, cosa poco rispettosa verso il Pontefice». Ma lontanissime dagli accenti utilizzati nel resto della coalizione.
LE CRITICHE - «È una grave ingerenza, il Vaticano dovrebbe ripensarci», aveva detto per Rifondazione Fausto Bertinotti. «Basta con le picconate alla laicità dello Stato» aveva aggiunto il Verde Alfonso Pecoraro Scanio, mentre Antonio Di Pietro partiva all’attacco («ricerche di sponsor a buon mercato») per una volta d’accordo con Daniele Capezzone che parlava di «apertura della campagna elettorale da parte del Vaticano». Attacchi a cui la Casa delle libertà aveva risposto già prima della decisione annunciata da Berlusconi. Con Rocco Buttiglione: «Critiche fatte di provincialismo e cristianofobia». E soprattutto con Casini: «C’è un misto di dilettantismo e malafede che dimostra che in Italia è aperta la questione anticattolica, c’è un complesso di persecuzione da parte del mondo laico». Come dire, la visita in Vaticano non c’è più. Ma le divisioni restano eccome.
Lorenzo Salvia